Il Comune di Gabicce Mare ricorda i nostri connazionali e le comunità italiane giuliano-dalmate e istriane vittime della violenza.
La nostra volontà di non dimenticare e conservare per le future generazioni il ricordo di coloro che non avevano più una patria, una identità, un luogo di sepoltura. Le foibe diventarono le loro tombe.
Ai sopravvissuti e ai loro discendenti il senso forte della solidarietà e della fraternità di tutti gli italiani e della città di Gabicce Mare.
La data del 10 febbraio per il Giorno del Ricordo è stata scelta e istituita con legge n.92 il 30 marzo 2004 e la scelta non è stata casuale. Infatti proprio il 10 febbraio 1947 furono firmati i trattati di Pace a Parigi con il quale si assegnavano l’Istria, Quarnaro, Zara e parte del territorio del Friuli Venezia Giulia alla Jugoslavia.
Tra il 1943 e il 1947 vennero gettati nelle cavità carsiche, appunto le foibe, quasi diecimila persone dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia da parte dei partigiani comunisti del Maresciallo Tito: Una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico verso i non comunisti e una volontà criminale di pulizia etnica da parte del generale Josip Broz Tito. Il massacro è andato avanti fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, venne fissato il confine tra l’Italia e la Jugoslavia e le terre italiane di Istria e della Dalmazia passarono alla Jugoslavia.
Chi erano le vittime: uomini, donne, bambini, anziani, fascisti, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, accomunati tutti da un’unica colpa, quella di essere italiani. Furono uccisi e gettati nelle foibe oltre 10mila italiani e si stima che i giuliani (in particolare istriani e fiumani) e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine siano stati oltre 350mila.
Come furono uccisi: le foibe sono grandi caverne verticali (pozzi profondi anche 250 metri) tipici della regione carsica e dell’Istria. Solo in Istria se ne contano circa 1700. Oggi, finalmente, il termine usato normalmente dai geologi, rappresenta invece i crimini atroci avvenuti tra il 43’ e il 47’ commessi dai titini ai danni degli italiani. Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati dopo torture e sevizie, venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili. Soltanto nella zona triestina, tremila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.
Chi ha commesso i massacri: soldati jugoslavi comandati dal generale Josip Broz, conosciuto come Tito, operarono questi crimini contro gli italiani per motivi etnici e politici sul finire della Seconda Guerra Mondiale e poco dopo la fine. Tito nel 1948 ruppe con l’Unione Sovietica, ponendosi poi a capo di un movimento di Stati cosiddetti “non allineati”, cioè non appartenenti a nessuno dei due gruppi che si fronteggiavano durante la guerra fredda. Rimase a capo del governo jugoslavo fino alla sua morte, avvenuta nel 1980.
“Urlavano Italia, e caddero. Bruciavano di dolore, e caddero. Indifesi e soli, svanirono in infenali voragini“. – Ermanno Eandi